mercoledì, dicembre 20, 2006

Aiuto?

Ma tu chi sei? Che vuoi? Cosa cerchi? Nulla, nulla, non cerco nulla. Io sono nessuno.
Vivo nascosta. Potrei essere io o un' altra. Metto in scena il mio personaggio. Lo fanno tutti. Lo faccio anch'io.
La mia menzogna mi rivela. Le vostre verità (opinioni, commenti, battute, conversazioni) vi nascondono anche a voi stessi.
Siamo tutti dei truffatori.

Lo schermo del computer luccica lieve nell'oscurità della stanza. Mi alzo, cammino, accendo una sigaretta. Leggo qua e là, cliccando a caso fra i link dell'aggregatore. Perché? Cosa trovo qui che non potrei trovare, tanto per dire, nel bar sotto casa o nella sala riunioni del luogo dove lavoro? Chiacchiere sul tempo, la politica, l'ultimo film visto, l'ultimo libro letto. C'è qualcuno che abbia mai spostato di mezzo centimetro i suoi convincimenti per qualcosa che abbia letto in un blog?

Per quanto mi riguarda, qui trovo soltanto la perfetta trasparenza dell'anonimato. Altri non fanno che ripetere "io io io ....": io penso, io giudico, io credo. E' giusto? E' democratico? O è solo un contentino che la tecnologia offre a chi non conta un cazzo e continua, nonostante tutto, a non contare un cazzo? Cambierebbero le cose se ascoltassimo, se leggessimo con più attenzione?

Non ho faccia, non ho nome, solo un nick. Ipotizziamo che sbatta qui, su queste pagine, la mia assoluta, immedicabile disperazione. Ma sono davvero disperata? O sono solo, per una volta nella mia vita, straordinariamente lucida, al punto da apparire ai più straordinariamente confusa?

Facciamo finta che stia recitando la mia pazzia, quella che tanto abilmente riesco a nascondere durante il giorno, quando faccio quello che faccio con la leggerezza solita, la mia consueta abilità, la competenza ragionevole che la gente che mi circonda di solito mi riconosce. E' pazzia o solo un esperimento, un esercizio di stile? Non lo so, non lo so, non so dirlo. Non mi riconosco, o mi riconosco fin troppo bene.

Chiacchiere

Vivo di libri e per i libri, ma non per questo mi sento una privilegiata. Si tratta di carattere o di destino, non so. Comunque non dipende da me: sono così, non posso cambiare, non voglio cambiare. So per certo che senza cultura, in particolare senza cultura letteraria, si vive, o si sopravvive benissmo. La maggior parte delle persone che conosco giudicherebbe quantomeno originali, o incomprensibili, le questioni per le quali mi appassiono. Per questo tendo a nascondermi, nel mio personale altrove di pagine e parole.

D'altra parte l'erudizione spicciola che spesso vedo esibita sulle pagine dei giornali, nei blog letterari, nelle riviste specializzate o, quel che è peggio, nelle diatribe accademiche, mi intristisce e mi irrita.

La chiacchiera supposta colta è una delle molteplici maschere assunte dall'assenza di senso tipica del nostro tempo.

Da leggere:
George Steiner Vere Presenze

martedì, dicembre 19, 2006

La vendetta del sogno

Questa notte ho sognato un vecchio amore. Non lo vedo da vent'anni e, francamente, non ho nessun desiderio di incontrarlo. Eppure nel sogno entravo in un bar, convinta che forse avrei potuto incrociarlo e, in effetti, mi sentivo chiamare. Era lui, ma mentre io ero sempre qualla di vent'anni fa, il suo volto era come deformato da un invecchiamento lieve eppure ben visibile: più stempiato di un tempo, un paio di strani occhiali troppo spessi, uno sperdimento confuso nelle poche frasi che mi rivolgeva. Mi sembrava innocentemente rimbambito e di conseguenza, pur mostrando una cortesia infastidita, cercavo di tenerlo a distanza. Ma dentro mi sentivo struggere per la malinconia: e mentre si allontanava lo richiamavo, per salutarlo. Mi rispondeva, quasi indifferente, da lontano.

Mi sono svegliata e, come accade quando i sogni sono troppo vividi, ero sorpresa di trovarmi lì dov'ero.

Cambiamenti

Ricordo che da adolescente la lettura di Fuoco Fatuo di Pierre Drieu La Rochelle mi colpì moltissimo. Visto che ancora non avevo piena consapevolezza del contesto in cui la vicenda si colloca (estenuati dandy post romantici e tardo-decadenti smarriti fra salotti intellettuali e ostentazioni nichiliste, esibita tragedia e sarcasmi surreali - sti ), non ne capii molto (di certo non lo capii nel modo in cui lo capisco adesso). Ora l'ho riletto.

Il suicidio è la risorsa degli uomini la cui capacità di reagire è stata corrosa dalla ruggine, la ruggine del quotidiano. Sono nati per l'azione, ma hanno ritardato l'azione: allora l'azione si ritorce su di loro come un boomerang. Il suicidio è un atto, l'atto di coloro che non hanno saputo compierne altri. E' un atto di fede, come ogni atto. Fede nel prossimo, nell'esistenza del prossimo, nella realtà dei rapporti tra il proprio io e quello degli altri. "Io mi uccido perché voi non mi avete amato, perché io non vi ho amato. Mi uccido perché i rapporti fra noi erano allentati, per rinsaldarli. Lascerò su di voi una macchia indelebile. So bene che si vive più da morti che da vivi nel ricordo degli amici. Voi non pensate a me, ebbene, non potrete dimenticarmi mai più!"

Allora sottolienai queste parole. Adesso non ricordo più perché l'ho fatto. Negli anni ho subito e fatto subire overdosi di vittimismo più o meno puro, per essere ancora turbata, o tentata, da affermazioni di questo genere. Fuoco Fatuo è un bel romanzo, ma ormai lo leggo seguendo un interesse, per così dire, "culturale". Le sue parole non bruciano più. Leggere, e poi rileggere a distanza di anni, dà la misura del cambiamento. Dell' inconsistenza del proprio "io", se volete. Un tempo, rammento, solo un brandello di esitazione mi ha trattenuto al di qua di una certa soglia. Oggi non ci penso più e la disperazione che talvolta, abbattendosi su di me a ondate, minaccava di annegarmi, si è trasformata nella bonaccia di una tranquilla disillusione.

giovedì, dicembre 14, 2006

Ritorno

Uno sottile rivolo di parole che in poco tempo sembrava già esaurito. Dopo mesi trascorsi a fare altro, ritorno per caso a questo luogo quasi dimenticato: e, in modo del tutto imprevisto, trovo tracce, prima non notate, di altri passi, altri sguardi che hanno incrociato le mie frasi, i miei scarni frammenti.

Mi allontano. Fumo una sigaretta. Metto su un cd. Non so bene cosa fare.

Gli incontri sono sempre preziosi. Per stanchezza, o disattenzione, non ho fatto caso a questi passaggi. Potrei chiedere scusa. Va bene, mi scuso. Pubblico i commenti a suo tempo non visti.

Sono sempre alla ricerca di presagi. Mi chiedo cosa voglia dire, ora, questa inattesa scoperta.

E se sono destinata a restare.

venerdì, giugno 02, 2006

Qual è la mallattia morale peggiore che afflligge l'umanità? La violenza, l'intolleranza, l'egoismo, l'indifferenza, l'avidità?

La mancanza di umorismo.

Riassume tutto. Tabe diffusa ovunque, ad ogni gradino della scala sociale, ad ogni età, in ogni nazione, in qualunque civiltà.

Ciò che per uno non significa niente, per l'altro diventa ragione di vita e di morte. E viceversa.

Ci sbraniamo per inezie. Chi si ricorda i motivi per i quali i popoli guerrieri di millenni fa si combattevano? E comunque, chi li giudica davvero importanti? Del resto sono davvero più importanti di quelli che hanno ispirato la lite fra condomini imprevedibilmente risolta a pistolettate?

Viviamo male perché vittime di un esasperato amor proprio. L'uomo della strada, ben pasciuto e convinto di sé, ha sentito vagamente parlare di un tizio che si chiamava Giulio Cesare ma non si ricorda bene né quando è vissuto né perché è stato ritenuto degno di essere ricordato nei libri di storia. Se poi l'uomo della strada vive a Calcutta o a Tokyo, è probabile che non ne abbia mai avuto notizia. E se Giulio Cesare (per citarne uno) è stato inghiottito da un oblio così irrimediabile, che cosa contano le nostre anonime beghe quotidiane, quale valore può avere l'illusione di essere il centro del mondo, quella stessa illusione che ci spinge a disseminare ovunque le nostre parole, a ritenere degne di riconoscimento le nostre opinioni, i nostri pregiudizi, la nostra mezza cultura?

Ingannato da una falsa presunzione di libertà, in ogni circostanza della sua vita l'individuo postmoderno non parla, pontifica: e quel che è peggio, lo fa nascondendosi dietro un'ipocrtita pretesa di modestia. Dietro la predica, si nasconde sempre l'impotenza.

Parla per te.

Io parlo anche per me.

Qui, e ora.

giovedì, giugno 01, 2006

Un televisore acceso. Un letto da rifare. Una tavola da sparecchiare. E' tutto qui.

Nessun viaggio da intraprendere.

Nessun amore da rimpiangere.

Nessuna conquista da compiere.

Nessun ideale da difendere.

Nessun silenzio da infrangere.

Nessun risentimento da coltivare.

Fa paura questo vuoto?

A me non più.

Sto disperatamente mendicando l' altrui attenzione. Non va. Così non va.

martedì, maggio 30, 2006

Vedo un ragazzo cieco. Cerca di uscire da una piazza recintata, in un punto dove, fino a ieri, esisteva un cancello. Il volto inespressivo nascosto dietro agli occhiali neri, continua a sbattere il suo bastone bianco sulla rete, ora a destra, ora a sinistra: ha l'ostinazione di un insetto dietro un vetro. Il cancello è stato spostato ma naturalmente lui non può saperlo. Alla fine qualcuno lo aiuta, lo afferra per un braccio, lo guida nella direzione giusta. Si allontana rapido, con piccoli passi incerti, senza ringraziare. Non si sente obbligato a sprecare parole. Penso che abbia ragione.
Ebbene, che cosa voglio fare? L'ennesima insignificante autobiografia via Internet, il solito sfogo paraletterario di cui non frega niente a nessuno, o a pochissimi? Da mesi seguo in silenzio, con assiduità da voyeur, l'intrecciarsi e il moltiplicarsi di chiacchiere virtuali. Ognuno forse pensa che la sua voce, così, possa arrivare più lontano di quanto accadrebbe se, semplicemente, si fermasse a ragionare un poco, quasi per scherzo, con il vicino di casa. Tutti hanno qualcosa da dire. Tutti credono di aver qualcosa da dire e ripetono, con impercettibili variazioni, la solita nenia. Le parole diventano melma, o, peggio, melassa. E' affascinante osservare dall'esterno, senza mostrarsi, la mostruosa metamorfosi dell'individuale verità (che pure, da qualche parte, deve esistere, spero) in soffocante, ingrigito luogo comune.

E io? Che vengo a fare qui? Disilllusa, spenta, a un passo da buttare all'aria, in un modo o nell'altro, la mia vita, mi metto a raccontare la mia inutilità, il mio sperdimento, la mia inettitudine. Che cosa mi aspetto? una consolazione, uno schiaffo, una provocazione, un insulto? Mah, forse solo (un tentativo di) spiegazioni.

lunedì, maggio 29, 2006

Sono una che ride, e molto. Tuttavia non credo di suggerire un'impressione di scarsa serietà. Probabilmente chi mi conosce superficialmente o parzialmente, chi crede di conoscermi, pensa che io sia una persona a suo agio nella sua vita e nella sua pelle. Una sicura. Una priva di inutili complicazioni.

Io sono una che cammina da sempre sull'orlo. Che cosa c'è al di là? Un precipizio, un abisso? O semplicemente un mediocre salto di pochi centimetri per poggiare alla fine il proprio indolenzito deretano su un po' di terra battuta, in un cortile qualunque popolato di rifiuti ed erbacce?

Non lo so. Non lo voglio sapere. Almeno per adesso.

Anche mio figlio cammina sempre sul margine del marciapiede, oppure rasente al muro. Non riesce a procedere a diritto, baldo, sicuro di sé come qualunque ragazzino di undici anni. Scuote la testa e va avanti di sghimbescio, assorto nei suoi pensieri impossibili. Mi stringe il cuore vedere quanto mi somigli. La sua perplessità è la mia. Ma con gli anni ho imparato a mimetizzarmi.

Da un po' di tempo mi assilla un pensiero. Quando mio figlio avrà la mia età di ora e dopo, quando sarà prima anziano e poi vecchio, non ci sarò. Che strano pensarlo un po' stempiato, con la pancetta e magari qualche doloretto qua e là, e sempre la sua aria stralunata, la sua disarmante dolcezza, le sue lievi inquietudini. Per allora avrà imparato a nascondersi? A mimetizzarsi fra gli altri così che solo pochi possano riconoscerlo? Avrà imparato a sopportare il suo esilio? O, più semplicemente, avrà dimenticato da dove viene? In ogni caso non spetterà più a me ricordarglielo.

Mi manca il tempo. Ho fatto così presto ad arrivare a questo punto. Non più giovane, non ancora vecchia. Non ho dimenticato nulla. Ma non so a chi lasciare la mia eredità. Non so nemmeno, ad essere sincera, se ho qualcosa da lasciare. Qualcosa da raccontare. La mia storia è cenere.

Non mi resta che affidarmi al caso. E spargere qua e là qualche traccia. Per essere trovata. Per ritrovarmi.